martedì 16 ottobre 2012

La reginetta dolente - la sofferenza delle donne fra Jung, Troisi e Di Ceglie

Ѐ curioso come ogni donna, anche la più bella e corteggiata, sia convinta di essere sfortunata in Amore.
Ti trovi spesso il caso classico immaginate la scena:
Mare, tavolino del bar: in comitiva la ragazza bellissima, corteggiata da sempre, da tutti, che deve (deve!) fare tutti partecipi della sua sofferenza amorosa per qualche fighetto di turno.
E tira fuori tutto il repertorio dello strazio, da Baglioni a Zarrillo a Tiziano Ferro: il fighetto è una persona semplice e ovvia, le sue abitudini sono prevedibili e i suoi pensieri comunissimi, ma lei in quel tipo ci vede qualcosa di criptico, e ci soffre – forse la chiave di tutto è proprio in una canzone di Raf che sembra scritta proprio per loro (incredibile! Fatalità, la stessa di altre 600 amiche sue: o questo Raf è un genio che ha toccato il Comun Denominatore di TUTTE… o l’attinenza è forzata).

La ragazza ovviamente crede che a tutti in comitiva interessi il suo dolore, e soprattutto ignora che:

-          le amiche grasse la stanno maledicendo per le sue lagne: loro soffrono anche solo per avere l’attenzione di un uomo, una di esse ha avuto un coito fugace con uno che poi si è dileguato, e un’altra è combattuta fra l’obesità e la minaccia di dimagrire ma perdendo il tono del seno (unica dote che esibisce). Lei invece, la reginetta dolente, ha la 42, rimorchia 6-7 ragazzi a serata e frigna per sfumature;
-          gli amici preferirebbero attaccarsi un picchio alle cosce e farsi beccare il costume piuttosto che ascoltare la cornucopia di cretinate che la ragazza sta esprimendo. Ascoltandola, hanno strani sintomi, come un’improvvisa rivalutazione del Ratto come metodo di formazione delle coppie: se le scelte d’amore sono così difficili per una donna, pensa il ragazzo, rapendole come facevano i Romani, non si potrà peggiorare la situazione, al massimo migliorarla.  
-          “amici”… Amici è una parola grossa. Diciamo Achei accalcati nel cavallo di legno dell’Amicizia, parcheggiato fuori dalle sue mutande. Achei che peraltro soffrono a loro volta di un dolore complementare a quello delle amiche grasse.

Insomma, la strafiga soffre, e deve farcene tutti partecipi.
Disgraziato colui che prenderà sul serio i suoi problemi, in un maldestro tentativo di conquistarsi un merito-comprensione: la strafiga non gli darà nemmeno una narice, e – beffa nella beffa – risolverà il suo ridicolo problema invaghendosi di un altro deficiente.
Ovviamente lei lo chiamerà “relazione difficile” – noi diciamo più prosaicamente “un altro deficiente”.
Magari lui si era sentito spiazzato di fronte ai problemi complessi di lei, quasi quasi le aveva dato perfino ragione - salvo poi scoprire che ad aprirle gli occhi non sono state le parole sagge dell'amico, ma due risate con le amiche e un brasiliano appena conosciuto.
Ecco, sapientino: così impari a prendere sul serio le lagne delle amiche. Benvenuto fra i misogini.
Probo invece colui che sorvola sulle fisime e la corteggia con leggerezza: egli è sapiente, e sa che OGNI donna esce da una storia complicata, ha storie complicate, va verso storie complicate, ma si può sempre sedurla. Il Seduttore non vuole invidiare il prossimo che la porterà a cena fuori: la porta a cena lui stesso: fa lui quel che invidierebbe di veder fare a un altro.

Ma torniamo alla nostra eroina:
perché questa ragazza ha deciso di tediare i suoi amici, e le sue amiche ciccione, con la sua sofferenza malriposta? Forse faremmo meglio ad andare a vedere che fa qualche altra strafiga:

E scopriamo che vale lo stesso per grandi dive, grandi donne, grandi icone sexy.

Ma allora, soffre la fighetta, soffre la grandonna, soffre la Callas, soffre Marilyn Monroe, soffrono tutte! Allora è intrinseco! Cosa c’è dietro, cosa collega il pathos alla realizzazione amorosa di una donna?

Ce lo spiegò Carletto Jung, una volta:
gli domandarono quale sia l’equivalente femminile del viaggio dell’Eroe.
Lui, dopo una riflessione a pipa fumante, concluse:
“La Sofferenza.”

Sì, diciamo che la sofferenza è per la donna l’equivalente dell’impresa eroica del maschio: potete facilmente verificarlo sentendo come due o tre donne che parlano, in genere, competano su chi ha sofferto di più. Noi giochiamo a chi ce l’ha più grosso, loro a chi ha sofferto di più.

“Io sono stata 5 anni con uno sposato”
“Eh, cara mia, io 7.”
“E io” – dice una terza – “mi sono cresciuta un figlio da sola avuto da un tunisino che è scappato in Africa sul più bello.”
“Ok, ma il mio sposato di 5 anni aveva anche un’ischemia, e beccateve questo!”
E vince.

Per questo, quando una donna chiede consiglio su una sofferenza d’amore, come psicologi (ma anche come amici, o parenti, o oracoli, o quello che volete essere) possiamo fare due cose:
-          una donna può aiutare la sofferente a vivere questo viaggio eroico;
-          un uomo, può dare il punto di vista maschile sulla cosa – non tanto dare soluzioni, perché non è detto che la sofferente voglia una soluzione, sebbene a volte possa servire un bel taglio di nodo gordiano, e allora starà a lei farlo come si sente.

La sofferenza è in effetti una di quelle cose a circuito che permettono rivelazioni e prove di forza: come il Combattere non finisce mai, anche i problemi amorosi, a volerli tenere in vita, possono trascinarsi per anni, divenendo una sorta di gioco continuo che, torchiandoti, ti spreme per forza qualcosa. E di qui, tutta la filosofia del Dolore: Hillman dice che una ferita aperta sono palpebre per l’Anima, Gibran dice si seguire l’Amore “anche se una lama nascosta fra le piume potrà ferirvi”.
Insomma, il Pathos ha tutta una sua mitologia.

C’è a chi non interessa.
Non tutte le vie sono uguali: c’è chi nasce per avere le stigmate amorose, e chi no.
Le donne in genere le hanno. 
Tutte.
Anche quelle forti e indipendenti.
Soprattutto quelle forti e indipendenti, perché in genere non aspettano di meglio che una super-bestia più forte di loro, per cui soffrire felicemente, e finalmente!

Come disse Massimo Troisi: “Lasciatemi soffrire BENE!”

L’importante è appunto, farlo bene: di fronte alle tragedie amorose (quasi sempre banalissime) di un’amica, faremo il meglio se lasceremo perdere di volerla convincere a non soffrire (per carità, guai a toglierle il suo viaggio eroico! Potrebbe mordere), ma magari la aiuteremo o a vivere meglio la cosa (lo faranno le altre donne) o la aiuteremo a capire meglio gli uomini (lo faremo noi), così almeno soffrirà con le idee quasi chiare, e non su cose infondate.
Poi un giorno le passerà, ma quando dirà lei: a volerla tirar fuori prima, si rischia, per usare una metafora fotografica, di aprire la porta del laboratorio bruciando le foto in formazione.

La psiche femminile infatti, non ha un sistema di problem-solving, ma una sorta di metabolismo emotivo che digerisce a poco a poco i problemi.
Per dirla in termini meccanici, immaginiamo un guasto alla macchina:

-          una mente mascolina ragiona così: ‘la porto dal meccanico, poi funziona, torno a utilizzarla; al massimo provo a ripararla da solo, unica incertezza, al limite collaboro col meccanico’;
-          una mente femminea dice: ‘si è rotta, non so bene perché, non voglio andare dal meccanico, non voglio nemmeno chiudere con la guida, prima o poi andrò dal meccanico ma mi rode’. Poi, un po’ si distrae, un po’ ce la trascinano dal meccanico, un po’ si invaghisce del gommista, insomma alla fine la macchina viene riparata e lei “rinasce come conducente”.

Quindi: salvo in caso di vere tragedie, prendiamo con una certa filosofia lo struggimento delle ragazze, e facciamo in modo che, con Troisi, “soffrano bene”. Se poi la situazione degenera, si fa sempre in tempo a dir loro, con Ruggero Di Ceglie, “DAI *****!”.
Alla prossima!

Nessun commento:

Posta un commento